I gagliardi di Sound Magazine
mi hanno chiesto di intervistare unòrsominòre e così ci siam messi di buona
lena e questo è stato il risultato.
Cominciamo con le
presentazioni che c’ho sto pallino dei nomi e mi piacerebbe capire il perché
del tuo. Perché unòrsominore. tutto minuscolo, tutto attaccato e col punto
finale?
Perché richiede impegno
e attenzione, per disorientare un po’, perché è diverso dagli altri; o per lo
meno lo era quando ho iniziato, cinque o sei anni fa. Non c’era questa
invasione di bestie nell’indie italiano. Adesso con tutti i quadrupedi e i
plantigradi in giro mi sa che cambio pseudonimo. Mi ricorda l’invasione di nomi
di donna nella scena degli anni 2000. Bah, tutto passa.
Il tuo ultimo album “La vita agra” parla di questo presente. Cosa vedi?
Quello che vedo l’ho
scritto e cantato: un paese stravolto, sconvolto, abbruttito nel suo intimo da
decenni di corrosione della cultura, dello spirito critico, della tensione
morale, e generazioni di padri e di figli distratti e superficiali e smemorati.
Il 12 novembre scorso è cambiato qualcosa, è finita un’epoca ed è caduto un
simbolo, ma l’epoca nuova di serenità e progresso è ben di là da venire.
Le radici del disastro nel quale viviamo ormai da troppo tempo affondano nella
storia di questa nazione. Questa liberazione, diversamente da quella del ’45,
non porta con sé la voglia di ricominciare a ricostruire; siamo tutti stanchi,
sfiduciati, non ci aspettiamo niente di nuovo. La mia generazione è cresciuta
con l’imperativo categorico di rinunciare a credere, a sperare di cambiare
qualcosa; “ci hanno preso tutto” e non vedo spiragli di sorta, nel futuro. La
sinistra non esiste più da anni, l’Italia era e resta un paese di destra più o
meno criptica, populista e ignorante, con o senza il tirannuccio in prima
persona sullo scranno. E circa le nuove generazioni, direi che Manuel Agnelli
la cantava giusta già una quindicina d’anni fa, e la situazione non è
migliorata, anzi.
E il mondo discografico,
invece, come ti appare?
Se parli del mondo
indie, direi per lo più un mondicino piccino tutto teso a vivacchiare di cosine
piccine; una piccola rete di amicizie e favori personali, esattamente come ogni
altro settore. Per carità, esistono le eccezioni, ci mancherebbe. E comunque
ovviamente io parlo solo per invidia. Del mondo major non posso parlare perché
non lo conosco direttamente, ma mi pare che abbia sempre meno a che fare con la
musica e sempre più con altre faccende.
“Le parole sono
importanti”, quanto lo sono per te e da quali letture o esperienze o modi di
sentire nasce la tua poetica?
Lo sono assai, e mi
piace pensare presuntuosamente che si intuisca nelle cose che scrivo e canto.
Forma e sostanza non sono scindibili, “chi parla male pensa male e vive male” e
chi scrive male difficilmente parla bene. Non è solo il godimento estetico di
leggere e ascoltare costruzioni verbali piacevoli, c’è anche la necessità di
essere chirurgici e spietati con le parole, per dire esattamente quello che va
detto, per non lasciare spazio a formulazioni deboli – sia che si scelga di non
essere ambigui, sia che si scelga di esserlo, il che è solo una questione
stilistica. L’importante è avere coscienza di quello che si scrive e si dice.
Letture: circa l’uso delle parole, direi Borges, su tutti; e poi Eco, Buzzati;
Bulgakov. Ma metti anche Moretti, ovviamente, anche se non scrive romanzi.
Questo disco segna
un’ulteriore crescita rispetto ai precedenti lavori, sia dal punto di vista
degli arrangiamenti che delle tematiche proposte. Quando hai cominciato a
scrivere “La vita agra” e come si sono sviluppati i pezzi?
Ho iniziato a scrivere
le canzoni per questo disco molto tempo fa, un paio di anni almeno. E’ stato un
processo lungo e complicato, non è il tipo di canzoni che sono sempre stato
abituato a scrivere e quindi ho dovuto e voluto limare e sistemare ogni
dettaglio. Poi cercare i suoni e le soluzioni musicali giuste per quelle parole
è stato altrettanto difficile, e in questo ho ricevuto un enorme aiuto da
Fabio. Ho cercato, sia nelle parole che nelle musiche, di evitare stereotipi di
genere e cercare di non scadere in ovvietà. Non tutti sono convinti che ci sia
riuscito, ma era preventivato. Alla fine, per aggiungere complicazioni alle
complicazioni, ho deciso di registrare tutto da solo suonando tutti gli
strumenti. E’ stato divertente.
Cinismo, rabbia, voglia
di reagire, disillusione… Quali sono gli stati d’animo che hai riversato in
questo disco?
Molta rabbia, sì, e
molta disillusione, ma sempre cercando di filtrarle attraverso uno sguardo il
più possibile razionale. Ho cercato di evitare sfoghi emotivi, anche quando
urlo lo faccio con coscienza.
Il cinismo fa parte di me ma non credo si avverta troppo in queste canzoni, mi sa che tendo più a dare voce al mio idealismo romantico (per quanto pessimista) nella musica, per poi essere cinico e fastidioso nella vita di ogni giorno. Circa la voglia di reagire, in Celluloide sono abbastanza esplicito a riguardo: “Se cambiare qualcosa è impossibile, a cosa ci può servire la voglia di fare?”. La voglia magari c’è anche, è il metodo che manca.
Il cinismo fa parte di me ma non credo si avverta troppo in queste canzoni, mi sa che tendo più a dare voce al mio idealismo romantico (per quanto pessimista) nella musica, per poi essere cinico e fastidioso nella vita di ogni giorno. Circa la voglia di reagire, in Celluloide sono abbastanza esplicito a riguardo: “Se cambiare qualcosa è impossibile, a cosa ci può servire la voglia di fare?”. La voglia magari c’è anche, è il metodo che manca.
Ci sono state altre
possibilità musicali o precisi momenti in cui hai pensato di dover cercare
nuove esperienze, oppure dal momento in cui hai aperto questa nuova parentesi
artistica ogni ripensamento ha trovato soddisfazione in ciò che stavi riuscendo
a creare?
No, hai voglia, decine di ripensamenti, continuamente. Ogni giorno, anche oggi. Sono un insicuro e non sono mai del tutto convinto delle mie scelte. Per questo lavoro poi, avendo deciso per scelta e per necessità di virare significativamente rispetto alle cose passate, i dubbi e le incertezze sono stati numerosissimi. Però posso dire che alla fine la soddisfazione è maggiore rispetto ad ogni altra mia esperienza passata in ambito musicale. Mi sembra di aver fatto, insieme e grazie a Fabio, il meglio che si potesse fare.
No, hai voglia, decine di ripensamenti, continuamente. Ogni giorno, anche oggi. Sono un insicuro e non sono mai del tutto convinto delle mie scelte. Per questo lavoro poi, avendo deciso per scelta e per necessità di virare significativamente rispetto alle cose passate, i dubbi e le incertezze sono stati numerosissimi. Però posso dire che alla fine la soddisfazione è maggiore rispetto ad ogni altra mia esperienza passata in ambito musicale. Mi sembra di aver fatto, insieme e grazie a Fabio, il meglio che si potesse fare.
Ci sono musicisti o
gruppi italiani che godono della tua manifesta stima?
Come no, e anzi grazie
che me lo chiedi, così per una volta non sembro l’eterno insoddisfatto di
tutto. Fra i cosiddetti indipendenti mi piacciono Il teatro degli orrori,
Offlaga disco pax, Ministri, Non voglio che Clara. Meno noti ma bravissimi:
Dilaila, Bancale, Misachenevica. Poi ci sono quelli veri, ma lì è un altro
discorso, no? [sorride n.d.r.]
Quanto pesa una tua canzone e quale del tuo ultimo album senti ti appartenga di più?
Quanto pesa per chi? Per me parecchio, troppo probabilmente; per gli altri dipende, non saprei. Immagino non molto, altrimenti vivremmo in un paese migliore. Circa le canzoni, ce ne sono due o tre a cui sono molto legato: Celluloide, La vita agra II, Ci hanno preso tutto. Sono forse fra le meno immediate, e fra le più dirette, e cupe. Fosse stato solo per me forse il disco sarebbe stato tutto su quei toni, ma il mio produttore non ha voluto sentire ragioni e ha esatto il singolo ballabile.
Quali sono i tuoi
programmi prossimi?
Suonare un po’ in giro,
dove si riesce a farlo.
A presto, buon ascolto e
buona lettura!
Ps. Ringrazio e non una
volta sola, Valentina e SoundMagazine per l’opportunità!
Pps. Ringrazio
FrizziFrizzi per la domanda sul peso dell’arte, su cui mi auguro non esista un
copyright!
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