“Dalla
finestra i rumori del mercato del venerdì,
pioppi alti e una gru che porta mattoni
tra le nuvole e dov’è mio padre, dall’86”
Una notte
di molto tempo fa, al tempo eravamo agli
inizi del due davanti alle unità, un amico, in uno di quei momenti in cui ti
pare che ci sia come a teatro l’occhio di bue a inquadrarti, tirò una boccata
alla sigaretta e poi sbuffando una nuvola di fumo aggiunse: “Il motivo per cui i singoli momenti di una
vita, anche i più belli, non potranno mai ottenere, se non raramente, il
sincero stupore emotivo di chi non è partecipe al momento è la musica. La vita
manca di una colonna sonora.”
Cucina povera dei Manzoni è una raccolta di storie brevissime, dove i testi sono più parlati che cantati, la parola diventa poesia in prosa e la musica è quella colonna sonora danzante o stridente che manca alla vita. Sospensioni e fibrillazioni post rock e morbidezze armoniche si insinuano in un disco che affronta tematiche sociali come nella traccia d’apertura, Mario in diretta tv, ed emozionanti condivisioni di vita quotidiana o relazionale, fino a concludersi con l’intimismo de La strada.
Cucina
povera non è quel che chiamerei un disco soffuso, ma va ascoltato con
attenzione, in silenzio, e non solo perché in qualunque altro modo andrebbe
persa la tensione emotiva delle liriche, ma soprattutto perché non ci può
essere alcuna altra via che quella offerta dall’ascolto tacito per sentire
l’avvicendarsi reciproco degli strumenti alla voce e il loro rendere attoniti,
sorpresi, sentimentalmente vivi.
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