Forse non essenzialmente io, ma io

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Nato a Taranto il 6 maggio nel segno del Toro. Il Giallo del collettivo Shingo Tamai, cialtrone poliedrico, dilettante eclettico, onnivoro relazionale, sempre in cerca di piaceri, di vezzi, di spunti e di guerre perse in partenza. L'idea di comparire in questi termini sulla rete è nata da un brainstorming con un amico, Leonardo Chiantini, qualunque fortuna possa avere il suo primo "quaderno di appunti" virtuale, è a lui che vanno i suoi ringraziamenti.
Benvenuti e buona lettura.
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lunedì 19 gennaio 2015

Soundmagazine.it - Edda - Stavolta come mi ammazzerai?

La foto di un album di famiglia mancante del padre, comunque presente in qualità di fotografo e una domanda: “Stavolta come mi ammazzerai?”, che nasconde in sé la “rassicurante” certezza che succederà, a far da titolo al terzo album di Edda, al secolo Stefano Rampoldi, sono l’involucro di un lavoro per cui riuscire a trovare il modo per esprimere delusione e stupore ammirato, è come una specie di prova d’equilibrio sospesi sulla catastrofe,
oltre che una bella responsabilità dal momento che l’autore è uno dei mostri sacri dell’indie italiano e questo suo terzogenito, una delle uscite più attese di questa stagione.

Lo spettacolo si apre con Pater, primo singolo scelto tra le diciassette tracce, che con la stranezza del cantato in prima persona femminile, che ritornerà nel corso del disco, inserisce nelle prime quattro strofe quell’intero senso d’inadeguatezza del vivere espresso dall’autore già nel titolo e quindi anche nel concept di tutti gli altri testi. Sentimenti di infinito amore e di geloso odio a dominare in maniera totalizzante e psicotica le frustrazioni e le interazioni relazionali. E questo tutto, accompagnato da arrangiamenti strumentali intensamente rock ben adeguati alla voce molto interpretativa di Edda, caratterizzati da un volume di suono che investe all’ascolto, sarà solo l’inizio della tempesta di pugni diretti al plesso solare, con lo scopo non nascosto di osservare il dolore negli occhi altrui, ma di sentirselo anche addosso sia in qualità di vittime che di carnefici. 
Perché il disco in tutta la sua furia mescola le carte, scambiando i posti dei giusti e dei colpevoli, navigando disperatamente tra debolezza umana e spasmi di vita vissuta, forse in qualche caso artisticamente autobiografica.
Eppure, a fronte di una più che apprezzabile idea di fondo, quella che nasciamo per essere fatti a pezzi dalle emozioni, a fronte di una componente musicale esteticamente molto vicina agli Novanta passati, ma comunque ancor oggi per me più che apprezzabile, è proprio nei testi che trovo vi sia il tallone di Achille di questa produzione: in quella ricerca di rime baciate così facili; nelle trovate stilistiche caratterizzate da un linguaggio spinto ed estremamente colorito a volte ben costruito, ma più spesso gratuito e superfluo; e non basta la teatralità interpretativa a caricare di espressività un cantato che in numerosi versi è solo un insieme di frasi slegate, senza un senso, se non da un vago insieme vocalico o un sottilissimo filo tematico. Detto questo, non si tratta di un’occasione sprecata. Questo è un disco che suonato live spazzerà via le prime file, tanto è percepibile la carica che possiede, semplicemente manca un quid grosso: una maturità scrittoria che davvero occorrerebbe - e molto - all’interno del rock indipendente italiano, così spesso svilito e abbassato nel linguaggio e nei contenuti.
Buon ascolto.


Ps. Ringrazio Soundmagazine e Valentina per l'opportunità.

4 commenti:

  1. ahimé concordo e dispiace perché è uno dei rari cantantitaliani che sa sfruttare tutti i registri vocali di cui la natura l' ha generosamente dotato

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    1. La questione è che per cambiar scrittura si deve diventar esseri umani nuovi, se a quarant'anni si pensano, si leggono e si fanno le stesse cose di quando se ne aveva venti, il rischio che si continui a scrivere nello stesso linguaggio è piuttosto elevato.
      A ogni modo progetti cantautorali del rock italiano, notevoli per testi e arrangiamenti, attualmente ne conto solo due: Paolo Benvegnù e Umberto Maria Giardini.

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    2. azz, mica che hai usato il guanto di velluto... vabbé voglio comunque spezzare una lancia e dico che nonostante i 50 anni ( perché ne ha ormai 50 ) e considerando pure la migliore qualità dei microfoni rispetto agli anni '90 la sua voce si è fatta ancora più bella che agli esordi

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    3. Assolutamente, infatti, ritengo che la sua voce sia una cannonata e anche interpretativamente ne riconosco qualità straordinarie, quello che mi convince non sempre è la qualità dei testi, per il resto non ho nulla da obiettargli, davvero. Il Live di Edda sarà sicuramente qualcosa di allucinante, è solo che testualmente come molte delle tracce del disco dei Massimo Volume, mi ha deluso.

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Commentate, ché solo nello scambio c'è ricchezza per entrambi.

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