Mai l’avrei detto, davvero, mai.
Quando mi è
arrivato tra le mani Dalla Bovisa a Brooklyn, ultimo
EP dei Calibro 35, “condito” da una
brevissima graphic novel omonima firmata da Gianfranco Henry Enrietto e Marco
Philopat, son saltato a un metro da terra tanta era l’emozione. Primo perché non
immaginavo che nel 2012 sarebbero usciti ancora sei brani del gruppo - registrati ai Brooklyn Recording and Mission
Sound Studios di New York, luogo di creazione di quel capolavoro assoluto di: Ogni
riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente
casuale, senza dubbio uno degli album italiani dell’anno -, secondo e
più in generale, perché avendolo tra le uscite novembrine mi sarei trovato
proprio nella possibilità di recensirlo subito e quindi già mi immaginavo
chissà in quale storia sarei stato proiettato, uomo-proiettile in una ben più
che abile pistola. E invece, invece.
Partiamo dalla parte semplice, la graphic
novel. Sebbene l’idea di accompagnare un disco dei Calibro con un’opera
libraria sia eccezionale e le joint venture siano sempre ben apprezzate, la
realizzazione è senza particolare lode, nel senso che al di là dell’accuratezza
delle citazioni, non bastano né la scrittura creativa di Philopat, né le
psichedeliche illustrazioni patinate di Enrietto a rendere il breve fumetto
qualcosa di più che uno spunto narrativo, un racconto breve ganzo, ma fatto un
po’ alla buona, senza particolari piacevolezze da palati raffinati.
E qui subentra
il difficile.
Ora, la
partenza, ed è doveroso dirlo, è che stiamo parlando di un lavoro che
tecnicamente è indiscutibile, più che mai da me che dei tecnicismi son profano
e difatti, non è la qualità stretta delle sei tracce il problema. Questo, anche
se ho notato temi molto più ripetitivi e meno accattivanti del solito, con giri
armonici che ritornano come semplice eco del precedente senza invenzioni di
sorta, senza particolari incandescenze. Il problema però, quello vero, è la
componente onirica. Il disco è solo suonato eccezionalmente, che di questi
tempi andrebbe anche bene di per sé, ma essendo dei Calibro non è abbastanza.
Di tutti i film, di tutte le storie, di tutti i viaggi che ho vissuto con i
precenti album, con ognuna delle precedenti tracce da loro composte non ho
avvertito che il ricordo. Per intendersi, su sei tracce son rimasto
favorevolmente impressionato praticamente solo dal funk fumoso di New York by night e dalle armonie da
inseguimento groove di Death dies,
omaggio ai Goblin e a una traccia della
colonna sonora di Profondo Rosso, piuttosto ricorrente in tutto quel
meraviglioso film.
Adesso, mentre
continuo a mandare in loop il disco nella speranza finora vana di essere
posseduto dal demone dell’ispirazione creativa, vi attendo per il prossimo,
Calibro 35. Siate bravi, è inverno, non fatemi prendere troppo freddo.
Buon ascolto e buona
lettura.
Ps. Ringrazio Valentina e Soundmagazine per l'opportunità.
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