"Padania è l'ultimo disco degli Afterhours.
La Padania non esiste.
L'ultimo disco degli Afterhours non esiste"
Sillogismo maccheronico
E quest'anno son tornati pure gli Afterhours. La mia fortuna (o magari è il segno principale del mio catastrofismo) è che non ho miti, questo mi mette almeno nella condizione di non trovarmi disorientato nell'osservare la desolazione dove un tempo tutto era rigoglioso e vispo nella sua originalità.
Padania, primo disco completamente autoprodotto di questo storico gruppo del rock italiano (cosa che devo ammettere ho scoperto, perché non lo sapevo affatto e non immaginavo nemmeno che fosse il primo), è anche il titolo del singolo e un nome provocatorio, come del resto aspira ad essere l'album nelle tematiche di tutta la sua struttura: quindici incursioni musicali a tutto campo, dove viene dipinto il depresso presente quotidiano, in un accompagnamento composto dalle ballate tipiche del gruppo, da partizioni musicali stoner, da vaghe influenze prog, da vocalismi con velleità di simulazioni stratossiane (in Metamorfosi) e da violini distorti che finiscono nel finale (Iceberg) per far da cappello di poco più di un minuto alla chiusura de La terra promessa.
Ora, siccome probabilmente questo è l'ultimo post che mi verrà consentito di scrivere prima che mi chiudano il blog, vorrei ringraziarvi tutte e tutti per la vostra frequentazione e per l'appoggio finora regalatomi. Vi voglio sinceramente bene. Davvero credetemi. Mi resterete per sempre nel cuore.
Ma torniamo al disco, mentre mi tappo le orecchie per non sentire le vostre bestemmie, quelle che state per proferire o quelle che già state proferendo.
Padania, ha almeno due problemi: il primo è che dove gli Afterhours hanno osato, nel senso di provare a fare qualcosa di più sperimentale rispetto ai loro canoni, hanno creato qualcosa che musicalmente mi è apparso non ben gestito e poco, molto poco, digeribile. Il secondo problema è che dove invece non hanno osato, hanno realizzato una stessa tipologia metrico-musicale di sempre, con in più il fatto di aver perso l'originalità testuale che almeno li caratterizzava nei dischi precedenti e con essa quella verve istintivamente incazzata, che ha lasciato il posto a una disillusione palpabile, ma che pare tacitamente riassumersi con il motto: "forse se ci amassimo di più, vivremmo meglio."
In questi tre giorni (Padania è infatti ufficialmente uscito il 17 aprile) ho discusso un po' su questo disco, tra cui una litigata furibonda che è stata come un fulmine a ciel sereno e che mi ha un po' spinto a scrivere questa recensione. Tra gli altri appellativi che ho sentito appioppare a questo lavoro ci è arrivato pure "merda". Ecco dopo averlo ascoltato sette volte (mentre vi scrivo sono le due di notte) devo dire che no, non è un lavoro che può meritare una simile dicitura, ma non si salva. Non posso salvarlo perché se lo salvassi poi mi sentirei un po' più merda io nel sindacare su gruppi che in tempi passati hanno avuto meno fortune e meriti (delle e dei quali assolutamente non discuto) di Agnelli e compagni.
E non è che manchi qualche giro accattivante come l'accordo di chitarra di Terra di nessuno, o manchi di un singolo che funzioni davvero, perché Padania è un apripista perfetto, e non è che non mi sia accorto che i titoli delle canzoni raccontino un piccolo concept, seguito dal fatto che ogni canzone termina nella successiva seguendo un filo conduttore elettronico sempre presente (in qualche momento anche inutilmente), ma, e vi prego di comprendere che il problema è questo, gli Afterhours dovrebbero essere la cuspide della piramide del mondo Indie e a me pare che per essere una vetta parlino un po' troppo la stessa lingua di tutti gli altri, con un utilizzo di quel linguaggio tutto sommato non troppo differente.
Siamo in chiusura, il sillogismo di apertura è evidentemente un'iperbole, del resto almeno se stiamo parlando di un disco, la padania esiste, che poi forse ne avremmo potuto fare a meno, beh è evidente che si tratta di un'altra storia.
Buon ascolto.
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