A. Francesco - Giocatori di carte |
Eravamo io, Franco, Peppe e Tonino il Porco, che lo chiamavamo così fin da quando eravamo ragazzi, perché qualunque cosa toccasse vi lasciava sopra una ditata di unto, manco avesse stretto nel pugno fino a poco prima della sugna fresca. Fortunatamente invecchiando aveva cominciato a lavarsi anche le mani.
Lo sa Dio il perché.
Lo sa Dio il perché.
Il soprannome però gli era rimasto.
Era sabato e come ogni sabato ci ritrovavamo a fare pranzo all’Orologio, che se sei della Città Vecchia non puoi non conoscerlo, perché le cozze appena pescate come si mangiano là, con quell’olio buono della terra rossa delle nostre parti e i grani di pepe pestati a mano, non si trovano da nessuna parte. A dire la verità avevamo già fatto pranzo. Oramai in tutta la sala rimanevamo solo noi come ospiti, poi c’era Michele, il proprietario che stava cominciando a preparare per la cena e suo padre Giovanni, seduto vicino a noi su una delle sedie pieghevoli di legno, che con un occhio, guardava la replica della tribuna politica di giovedì alla televisione, coll’altro le carte di Peppe che giocava con me. Poi quando vedeva che per più di un secondo nessuno rispondeva alla mano, si allungava fino alle carte che teneva Peppe e a bocca mezza chiusa gli diceva:
- Zio Peppe, questa dovete giocare!
Ricevendo sempre la stessa risposta:
- Per piacere, silenzio da dietro!
...
Buona lettura.
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