“E auguriamo a noi e auguriamo a voi,
tutto
l’impeto possibile e tutta la vivacità, ma anche tutta la bellezza e tutta la
dolcezza, perché siamo altamente incantati dall’idea di costruire una nuova
prospettiva.”
Che la casualità, cioè quell’insieme di molteplicità umane
e fisiche, sia regina su ogni cosa è un dato di fatto, d’altronde questo non
intende che debba muoversi sempre controvento rispetto all’individuo e seppur
non necessariamente legata alla qualità del seminato, è possibile che il
raccolto sia buono e rigoglioso.
A prescindere dall’estemporanea precedente, l’ep Morula, che prende il nome dalla fase che attraversa un organismo
durante i primi stadi della gestazione, nasce casualmente, all’improvviso
– avete visto che ero partito bene? Malfidati! - durante alcuni live degli
instancabili I Fasti e, come tutti i loro lavori, aderisce alla filosofia
del Do it yourself. Morula, sono tre brani di recitazione musicata,
accompagnati e accompagnanti, quattro racconti brevi, caratterizzati, i primi e
i secondi, da un’attenzione al sociale e al civile, che forse non aggiunge
nulla di nuovo a quanto già detto e scritto sull’argomento, ma arricchisce in
quanto voce plurale, ingentilisce con una ricerca che ha solo del mirabile.
Ho apprezzato decisamente di più la componente disco,
della raccolta di racconti, probabilmente per come arriva il primo rispetto
alla ridondanza del secondo. Strano a dirsi, vista la mia vicinanza alla parte
scritta e soprattutto visto l’utilizzo in quella musicata delle sincronie dubstep.
Normalmente, infatti, le avrei aborrite, ma in questo contesto le ho invece
trovate perfette, miscelate alla voce da palco del cantante, alla chitarra e ai
due bassi.
Ad ascoltare il disco sembra di essere in una stanza in
penombra, siamo dall’alto e possiamo vedere che tutto è illuminato solo da una
fioca lampada di scrivania, qui una schiena piegata si agita febbrilmente sul
piano in legno del tavolo, mentre una mano è intenta a scrivere su un foglio
bianco sbavato in più punti dall’inchiostro. Vicino c’è una bottiglia di vetro
verde scuro senza etichetta, nel bicchiere in vetro trasparente in parte
svuotato, vino rosso fermo. Nel volto, pallido per la stanchezza della veglia
notturna, la disperazione consapevole e l’agitazione di chi crea sono un tutt’uno.
Noi osserviamo soltanto, forse con compassione, forse con stessa o nessuna
agitazione interiore.
Ma non è importante.
Non è importante quanto eccellente o approvabile sarà ciò
che verrà prodotto, ma solo che non smetta.
Buon ascolto e buona lettura.
Ps. Ringrazio Soundmagazine e Valentina per l'opportunità.
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