Se c'è una cosa che mi piace fare pochissimo, è l'esercizio onanistico dell'autoreferenzialità. Nel senso che, sì, ok, è divertente raccontare se stessi dicendo: "son figo, son beo, son fotomodeo", però alla fine sempre figli di Onan si resta. Dico questo, perché, vista la fondamentale presenza all'organizzazione dell'evento dell'etichetta La Fabbrica e visto il mio essere fabbrichevole, ero indeciso se scriverne o no e se alla fine sono qui, oltre che perché vi voglio bene [cit.], è perché mi son trovato di fronte a qualcosa di talmente bello, che il non scriverne sarebbe stato quasi come privarmene, sicuramente come privarvene.
Nella serata di ieri, in quella singolare via bolognese che è il
Pratello, con quell'odore di cannabinoide che pervade buona parte della via, dal comando dei carabinieri, fino alla perpendicolare Pietralata e ti
assicura qualche tiro di fumo passivo buono anche nelle serate in cui ne faresti a meno, all'interno del Barazzo, uno di quei locali che anche
grazie al proprio nome immaginifico ha scritto infinite storie, popolate
a loro volta da una mitologia di personali eroi, eroine, semidei, semidee e divinità di varia
caratura, si è esibito Cesare Malfatti, al suo terzo album solista -
secondo di inediti -, accompagnato da Matteo Zucconi al contrabbasso e
Riccardo Frisari alla batteria. Sul palco del locale pratellese ha infatti portato i suoi due dischi:
l'omonimo "Cesare Malfatti" del 2011 e il secondo più acustico, con brani armonicamente e ritmicamente strutturati in chiave jazz, "Una mia distrazione" del 2013. Ed è il tenue accordo di chitarra di Andare via ad aprire in musica alla poetica di Malfatti, che attraverso i testi di Luca Lezziero e Vincenzo Costantino, racconta con una matura intensità perfetta, sentimenti imperfetti, come sempre sono le vite al loro punto di incontro/scontro con altre vite. La sua voce è densa ed esile insieme, con un sussurrato che aggiunge poesia alla poesia palpabile del cantato ed è accompagnata dalle armonie degustative del jazz, ad una ritmica da fusion che rendono l'esecuzione acustica non solo godibilissima nell'amalgama, ma soprattutto incantevole nell'arrangiamento.
E anche se di fronte a un pubblico troppo spesso distratto, persino quando l'ex La Crus suona e canta camminando tra la folla Sembra quasi felicità o suona l'auto-harp in Senza te, il trio mantiene il palco, per un tempo che non ho nemmeno sentito il bisogno di contare, lasciandoci a galleggiare tra la fluidità jazzistica e una carica armonicamente a tratti più rock - Quello che abbiamo; Mi han detto che; senza mai perdere il piglio d'accompagnamento alla serata, senza mai soffocare in una massa di note o di volume il pubblico.
Quando si arriva alla fine con Il bilancio, ci si sofferma a pensare a come il cantautorato italiano viva una profonda depressione e ciononostante offra ancora dei luminosi e profondissimi barlumi di speranza, come quello di questo mercoledì bolognese, fatto di spettacoli morbidi, eleganti e di una bellezza che ognuno con i propri mezzi ha il dovere di raccontare.
Buono, buonissimo ascolto!
Ps. Tutto questo nonostante l'approccio molesto della Contessa Melania, da cui ci siam presi anche uno schiaffo sul culo, a imperversare durante lo spettacolo. Del resto, Bologna, come ogni paesino che si rispetti, è di chi la vive da sempre, prima che cittadina del mondo.
Pps. Per l'unica fotografia smartofonica ringrazio la mia "Nika", che a sua insaputa si ritrova ancora una volta su queste pagine.
Nicoletta Antonini - Riccardo Frisari, Matteo Zucconi, Cesare Malfatti |
E anche se di fronte a un pubblico troppo spesso distratto, persino quando l'ex La Crus suona e canta camminando tra la folla Sembra quasi felicità o suona l'auto-harp in Senza te, il trio mantiene il palco, per un tempo che non ho nemmeno sentito il bisogno di contare, lasciandoci a galleggiare tra la fluidità jazzistica e una carica armonicamente a tratti più rock - Quello che abbiamo; Mi han detto che; senza mai perdere il piglio d'accompagnamento alla serata, senza mai soffocare in una massa di note o di volume il pubblico.
Quando si arriva alla fine con Il bilancio, ci si sofferma a pensare a come il cantautorato italiano viva una profonda depressione e ciononostante offra ancora dei luminosi e profondissimi barlumi di speranza, come quello di questo mercoledì bolognese, fatto di spettacoli morbidi, eleganti e di una bellezza che ognuno con i propri mezzi ha il dovere di raccontare.
Buono, buonissimo ascolto!
Ps. Tutto questo nonostante l'approccio molesto della Contessa Melania, da cui ci siam presi anche uno schiaffo sul culo, a imperversare durante lo spettacolo. Del resto, Bologna, come ogni paesino che si rispetti, è di chi la vive da sempre, prima che cittadina del mondo.
Pps. Per l'unica fotografia smartofonica ringrazio la mia "Nika", che a sua insaputa si ritrova ancora una volta su queste pagine.
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