Edizione: Absoluteblack
Pagine: 48 + 64
Pagine: 48 + 64
- Che film le piacciono?
- Quelli che parlano della vita vera e dei problemi di ogni giorno.
- Che musica le piace ascoltare?
- Ascolto un po' di tutto.
- Si sente al sicuro?
- No.
- Ucciderebbe mai qualcuno?
- No. Però è giusto difendersi.
- E' mai stato innamorato?
- Non so. In fondo non si ama mai davvero davvero nessuno.
- Crede che le cose possano cambiare?
- Non so. Non mi interessa.
- Sogna mai una voce che si fa chiamare Zu?
- ... mi è capitato solo una volta. E' negli archivi.
- Vorrebbe essere speciale?
- Sì, ma penso di essere un po' come tutti.
- In che modo vorrebbe essere speciale?
- ... essendo un po' come tutti.
Le cose, come si sa, succedono spesso per caso, ma è invece l'attenzione che prestiamo a quel caso a non essere quasi mai casuale. Ad esempio, nel finire di leggere i primi due volumi di tre - con il terzo in divenire e non ancora uscito - durante la mia quotidiana ricerca di notizie dal mondo da spammare via social network, mi sono imbattuto in un articolo di una donna che felice nel suo sorridere verso la macchina fotografica del giornalista, nutriva la sua bestiola canina, un pechinese dal muso schiacciato, come ogni pechinese che si possa chiamare tale, con il latte della sua propria tetta umana, dicendosi, nell'intervista che accompagnava il servizio, appagata. Non fate quella faccia, è risaputo del resto che dove c'è gusto non c'è perdenza. A ogni modo, il fatto che mi stessi fidando della veridicità di questo ritrovamento casuale, mi ha riportato alla mente una massima orwelliana, credo ripresa da 1984, in cui la realtà del protagonista afferma che non è necessario vedere le cose con i propri occhi o sentirle con le proprie orecchie, basta semplicemente fidarsi di ciò che viene detto, proprio quel che pur con un minimo controllo del caso ho fatto io. Ed è qui che arriviamo a parlare di Vedic Riot.
L'allucinata storia dai toni vagamente steampunk/fantascientifici ha per protagonista Silvia, una ragazza, figlia precaria di un mondo molto simile al nostro, che si trova invischiata in una guerra tra gli Illuminati, mostri mitologici della nostra storia moderna e contemporanea e i Figli di Zu, straordinarii esseri umani aventi come obiettivo quello di minare il potere e il controllo dei suddetti.
In due albi, tra i testi spesso molto espliciti e le più nascoste parti all'interno delle illustrazioni, sempre a metà tra tavola grafica e attachment fotografico, non bastano le dita per contare le citazioni, i richiami a un altrove molto vicino al sapere collettivo o anche a un sapere facilmente arrivabile e anzi è un gioco che sono certo catturerà con maggior forza l'interesse di ognuno e non perché il riconoscere il richiamo ringalluzzirà il vostro ego, ma perché con ancor più tensione vi trascinerà dentro l'intreccio in cui una parte dei personaggi finisce per trovarsi suo malgrado. Vedic Riot non ha tempi morti, è un crescendo continuo di tensione, un gioco a rialzo ben studiato con ritmi precisi anche a fronte delle pause riflessive dei personaggi. Ma indipendentemente dalla storia, che sapremo a novembre prossimo come andrà a finire, è sulla sua domanda principale che mi soffermerei: esiste un tratto peggiore, assimilabile a questa società, di quello che spinge a omologarci nelle nostre associazioni mentali, nelle nostre aspettative, nel forgiare i nostri gusti?
Questo è quello che dovremmo chiederci quotidianamente, nella speranza di prenderne quanto prima coscienza.
Buona lettura!
L'allucinata storia dai toni vagamente steampunk/fantascientifici ha per protagonista Silvia, una ragazza, figlia precaria di un mondo molto simile al nostro, che si trova invischiata in una guerra tra gli Illuminati, mostri mitologici della nostra storia moderna e contemporanea e i Figli di Zu, straordinarii esseri umani aventi come obiettivo quello di minare il potere e il controllo dei suddetti.
In due albi, tra i testi spesso molto espliciti e le più nascoste parti all'interno delle illustrazioni, sempre a metà tra tavola grafica e attachment fotografico, non bastano le dita per contare le citazioni, i richiami a un altrove molto vicino al sapere collettivo o anche a un sapere facilmente arrivabile e anzi è un gioco che sono certo catturerà con maggior forza l'interesse di ognuno e non perché il riconoscere il richiamo ringalluzzirà il vostro ego, ma perché con ancor più tensione vi trascinerà dentro l'intreccio in cui una parte dei personaggi finisce per trovarsi suo malgrado. Vedic Riot non ha tempi morti, è un crescendo continuo di tensione, un gioco a rialzo ben studiato con ritmi precisi anche a fronte delle pause riflessive dei personaggi. Ma indipendentemente dalla storia, che sapremo a novembre prossimo come andrà a finire, è sulla sua domanda principale che mi soffermerei: esiste un tratto peggiore, assimilabile a questa società, di quello che spinge a omologarci nelle nostre associazioni mentali, nelle nostre aspettative, nel forgiare i nostri gusti?
Questo è quello che dovremmo chiederci quotidianamente, nella speranza di prenderne quanto prima coscienza.
Buona lettura!
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