“Per terra come dei cani
Per poi mangiarsi le stelle…”
Quando arriva la bomba
Mani ricoperte di fango, grandi, piccole, giovani,
tese nello contrizione o solo appoggiate, tutte a tarpare un volto, un mezzo
busto umano, anch’essi ricoperti dello stesso fango delle mani, solo gli occhi
s’intravedono. Come una società opprimente che mette in mostra la disperata inefficace
(r)esistenza di un essere umano. Con questa fotografia si presenta la copertina
di Bestie, primo disco in lingua
italiana (secondo del progetto musicale dei due Franceschi: Motta e Pellegrini) dei Criminal Jokers, pubblicato dalla 42 Records.
Alcuni brani del disco li
avevo ascoltati dal vivo nell’estate musicale bolognese, esprimendo già allora un’ottima
impressione verso questo progetto. Bestie, non è dunque altro che una positivissima
conferma di allora sin dal primo pezzo che dà anche il titolo al disco, seguito
da Fango, clamorosamente bello. Ma
delle dieci del disco, non c’è una traccia che convince meno. Ogni frammento è
prezioso e in alcuni momenti pare quasi difficile ascoltarne uno, senza farlo
precedere e seguire dagli altri.
La musica di questo
quartetto toscano si contraddistingue per i ritmi cadenzati, ripetitivi, della
batteria, sui quali si intersecano la voce affilata del cantante, l’eco dei
controcanti, le linee di basso e di chitarra elettrica e le armonie della
tastiera. Punk rock con influenze wave, ruvido e orecchiabile a far da colonna
sonora alla disillusione, nei quali pulsa l’anima nera degli esseri umani,
quella che appartiene più spesso al silenzio della solitudine, piuttosto che al
rumore delle relazioni.
Il progetto dipinge una
realtà toccante raffinata da ogni connotazione specifica, parla cioè del
presente, ma lo fa non raccontando i fatti ma i sentimenti, una poetica giovane
eppure con punte di consapevole maturità espressiva, lucidissime,
impressionanti.
La mia vena nostalgica si
anima di rado per il ricordo del mio tempo passato, anzi è più facile che io la
provi per anni, epoche, che mai ho vissuto. Ecco, Bestie è uno di quei dischi
che ti fa rimpiangere di non avere vent’anni per non sentirtelo sulla pelle
come dovresti e di non avere e non poter più sentire, se non marginalmente,
quell’energia esplosiva, incontrollata e sincera, soprattutto nel manifestare le
emozioni, di quando l’età presentava la dicitura “enti”.
Buon ascolto!
Ps. Ringrazio Soundmagazine e Valentina per l'opportunità.
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