Autore: Koushun Takami
Anno 1999
Edizione: Piccola biblioteca Oscar Mondadori
Pagine: 663
Per scrivere una recensione su questo romanzo devo porre particolare attenzione a non mescolare quel che i ricordi dell’omonimo manga e dell’omonimo film mi hanno vivamente lasciato. L’attenzione, tra l’altro, è doppia, perché i romanzi cui Battle Royal fa’ direttamente riferimento, traendoli a immediati modelli sono: “Il signore delle mosche” di W. Golding e “1984” di G. Orwell.
Ora, ritengo che sia importante precisare quanto, pur ammettendo tutto l’impegno del caso e persino la piena creatività della rivisitazione dal sapore vagamente ucronico, sia da tener presente che il tenore è tutt’altro che paragonabile e questo non gioca certo a favore di Takami.
Il risultato finale del mio giudizio, infatti, non è particolarmente positivo e questo va’ ben al di là della scrittura che anzi pur nella (mia) fobia iniziale delle seicento pagine, scivola con un certo tenore, riuscendo abbastanza nell’intento di trasportare il lettore, in questa scia di violenza sempre più incalzante (pensandoci, espressa con abbastanza enfasi dalla scelta della copertina dell’edizione Mondadori), fino alla fine. Anche il concept dell’intero romanzo, in cui esiste questa grande repubblica dell’est asiatico governata da una militocrazia, dove viene pescata ogni anno la classe di un liceo per sottoporla al Program, una prova all’ultimo uomo in cui gli studenti sono costretti a uccidersi tra di loro con qualunque mezzo a disposizione, è organizzato con coerenza narrativa e una vivace struttura.
Ciononostante, forse anche a causa (per aver letto il fumetto e visto il film, prima di leggere il libro) della perdita dell’elemento chiave di un libro, il fattore sorpresa, non sono rimasto favorevolmente colpito, come in passato invece era riuscito a fare il manga. La prima motivazione è la natura non sempre matura della sceneggiatura; quindi c’è il fatto di non tener conto (elemento davvero totalmente assente) della giovanissima età, compresa tra quindici e diciassette anni, dei personaggi del libro, i quali anzi si comportano, pensano e articolano conversazioni come fossero molto più che semplici adolescenti (tra l’altro nemmeno nel pieno della maturazione adolescenziale).
Vorrei concludere in gloria, invece resto perplesso, perché in effetti la bestializzazione incontrata in queste pagine coinvolge e sconvolge, ma, proprio per le lacune cui facevo riferimento, finisce per non convincere, lasciando solo un senso di mancanza di qualcosa, senza saper bene, di preciso, cosa.
Ora, ritengo che sia importante precisare quanto, pur ammettendo tutto l’impegno del caso e persino la piena creatività della rivisitazione dal sapore vagamente ucronico, sia da tener presente che il tenore è tutt’altro che paragonabile e questo non gioca certo a favore di Takami.
Il risultato finale del mio giudizio, infatti, non è particolarmente positivo e questo va’ ben al di là della scrittura che anzi pur nella (mia) fobia iniziale delle seicento pagine, scivola con un certo tenore, riuscendo abbastanza nell’intento di trasportare il lettore, in questa scia di violenza sempre più incalzante (pensandoci, espressa con abbastanza enfasi dalla scelta della copertina dell’edizione Mondadori), fino alla fine. Anche il concept dell’intero romanzo, in cui esiste questa grande repubblica dell’est asiatico governata da una militocrazia, dove viene pescata ogni anno la classe di un liceo per sottoporla al Program, una prova all’ultimo uomo in cui gli studenti sono costretti a uccidersi tra di loro con qualunque mezzo a disposizione, è organizzato con coerenza narrativa e una vivace struttura.
Ciononostante, forse anche a causa (per aver letto il fumetto e visto il film, prima di leggere il libro) della perdita dell’elemento chiave di un libro, il fattore sorpresa, non sono rimasto favorevolmente colpito, come in passato invece era riuscito a fare il manga. La prima motivazione è la natura non sempre matura della sceneggiatura; quindi c’è il fatto di non tener conto (elemento davvero totalmente assente) della giovanissima età, compresa tra quindici e diciassette anni, dei personaggi del libro, i quali anzi si comportano, pensano e articolano conversazioni come fossero molto più che semplici adolescenti (tra l’altro nemmeno nel pieno della maturazione adolescenziale).
Vorrei concludere in gloria, invece resto perplesso, perché in effetti la bestializzazione incontrata in queste pagine coinvolge e sconvolge, ma, proprio per le lacune cui facevo riferimento, finisce per non convincere, lasciando solo un senso di mancanza di qualcosa, senza saper bene, di preciso, cosa.
Buona lettura.
Questa recensione fa semplicemente schifo! dovrebbe essere una visione oggettiva del libro in sè, senza fare paragoni con le opere che ne sono state tratte. Vanno bene i commenti personali ma solo come conclusione e non devono influenzare chi legge l'articolo.
RispondiEliminaPoiché non ho nessuna voglia di rispondere in maniera estesa, a una persona che ha deliberatamente deciso di lasciare un commento così esilarante come il tuo in forma anonima, userò il dizionario:
RispondiEliminahttp://wikipedia.sapere.virgilio.it/wikipedia/wiki/Speciale:Search?search=recensione&go.x=18&go.y=5
Ps. "dovrebbe essere una VISIONE OGGETTIVA del libro in sè", sei un vero spasso.
"Chi ha lasciato questo triste commento"?
RispondiEliminaUna recensione è uno scritto con in quale si racconta la nostra esperienza di lettura ad altri potenziali lettori con informazioni generali e la stesura degli aspetti più rilevanti ed importanti.
Oltre a questo,dovrà contenere, naturalmente, una valutazione personale.
A mio parere questo non ha nulla a che vedere con la visione oggettiva.