Legnano, 11 Febbraio 2009
Io, Andrea Broggi, sano di mente e di corpo, non è così che si comincia a scrivere un testamento o sbaglio? … mmm… si mi pare che sia così, non so quanto sia importante però.
Ricominciamo.
Ciao a tutti,
ecco, questo modo mi è di gran lunga più familiare, sono passati due giorni dalla morte di Eluana Englaro, una storia particolare, ma non credo così tanto rara pur nella sua indicibile sofferenza, solo, forse, sensazionalmente più mediatica. Sono disgustato e come tale senza molte parole, ma dato che, come sentii dire ormai qualche anno fa, “noi uomini di lettere siamo in fondo tutti un po’ showman”, mi prendo la briga di mutare in parole questo senso di nausea, di vuoto, che sento in merito a quanto accaduto e penso, a dirla tutta, che questo bisogno sia più un mio egoismo, che non una risposta.
So che morirò, e chi mi conosce bene sa che l’unico rammarico che avrei, se morissi domani improvvisamente, è il non aver dato vita ad altro godimento per me e per chi mi sta intorno (intentendendo con “intorno” non solo gli affetti più cari, ma piuttosto, con beneplacito della mia catalizzante superbia, del mondo, che avrebbe il piacere, senza dubbio reciproco, di incontrarmi). Ma non sono qui per scrivervi di malefatte compiute o di avventure vissute, non parlo dei giorni fugaci o lenti che sono trascorsi lungo il mio viaggio e non credo di essere Petronio, per potermi burlare a tal punto dei posteri, da lasciare ammonimenti, punizioni e ricompense mentre il vino che mi regala il piacere della vita, vien fuori dalle mie vene, mutando quella vita in morte.
Se scrivessi per la mia morte, penso che direi cose differenti, racconterei piccoli aneddoti in grado di emozionare quelli che tra voi davvero hanno pizzicato le corde del mio animo, a tal punto da permettermi di regalargli un sorriso o una lacrima a piacimento, mio o loro che fosse.
No, non scrivo per la morte.
Scrivo per quella che io chiamerei morte, ma che la scienza medica chiama “stato vegetativo permanente”.
Questo che io scrivo, in maniera tanto edulcorata, non è per pochi eletti, è per tutti quelli che mi conoscono, per tutti coloro i quali che pensando me, al Broggi, al Terrone, a Sprauje, al Bronx, al Culo più bello di Siena, aggiungono nel loro ricordo, un avvenimento, una mia qualità.
Scrivo per dire che non mi interessa nulla di cosa scriveranno i giornalisti sul conto di chi si prenderà il disturbo di “staccarmi la spina”, qualora non dovessi trovarmi nella condizione di poterlo fare da solo, perché sappiate, e non ho nessuna remora nel dirlo, che se sarà nelle mie possibilità lo farò io.
Scrivo per dirvi che, per quel che mi riguarda, il Papa ha la stessa ingerenza nei miei affari, di una tarma che prova a corrompere con il suo svolazzare caotico il legno solido di una quercia. Papa è maiuscolo solo per non confondervi le idee troppo facilmente, non vorrei che scrivendo papa, voi pensiate ad un errore di battitura e confondeste la mia bassa considerazione papalina con la messa in gioco di una delle due fondamentali persone che mi ha fisicamente generato, senza dubbio, in quel preciso momento, con piacere.
Sono battezzato, sono comunicato, ma se conoscessi il modo, per questioni di semplice coerenza, mi farei scomunicare; d’altro canto mi pare di cattivo gusto riuscire in questo intento gridando in piazza San Pietro una sequela di bestemmie all’indirizzo della balconata papalina.
Sono un laico non credente e vista la mia posizione e il buon gusto di non urlare improperii a mò di serenade, pretendo che nessun prete represso, nessun vescovo bifolco, nessun arcivescovo bigotto, nessun cardinale colluso con il potere, nessun Papa simbolo, anche solo provi ad avere una qualsivoglia ingerenza nei miei affari privati, salvo che questi non riguardino fisicamente anche loro. Quindi apprezzerei chi dicesse “sono contro l’interruzione volontaria di una vita umana, ma per quel che riguarda questo caso ognuno sia libero di fare come il proprio senno ed il proprio animo gli suggerisce”, e non provate a stracciarmi le palle mettendo fuori dalle chiese “una bottiglia piena d’acqua per la vita di Andrea”. Massa di poveri stronzi, inviatele in Africa quelle bottiglie d’acqua, puritani scialacquatori, ottusi ed ipocriti.
Perdonatemi l’impasse, ma la comunicazione mi insegna che bisogna essere chiari soprattutto con le cose più importanti, e trovo che l’immediatezza espressa dal modo di dire “massa di poveri stronzi” sia concettualmente e sostanzialmente assoluta.
Detto questo, terminiamo.
Temo che nei prossimi giorni, questo penoso stato italiano in cui vivo, scriverà una delle sue pietose pagine affermando che non siamo più nemmeno liberi di morire, né di scegliere la morte piuttosto che una vita amorfa; tuttavia dovesse poter servire a qualcosa lascio a voi la possibilità di farla.
Questa breve missiva andrà letta a qualunque pubblico si riservi il diritto di sindacare su di me e sul valore che io do alla vita di un infermo totale, quale sarebbe una persona costretta da un male a non poter sentire nemmeno la differenza, tra una parola d’amore ed un saluto, quale sarebbe una creatura ridotta ad uno stato dormiente in un letto, quale sarei io, in uno dei contesti sopraelencati o in una qualsiasi altra, paragonabile, situazione.
Queste parole devono essere lette, qualora io non fossi nelle possibilità di premere interruttori o di leggere o di parlare.
Ad una vita passata su un letto in stato vegetativo o in coma, preferisco e trovo più responsabile, coraggioso e rispettoso verso tutti coloro che mi stanno intorno (questa volta si, solo i miei più intimi affetti) scegliere la morte, foss’anche attraverso una puntura di cianuro.
Spegnete le luci, amici miei, amiche mie, miei cari, io, forse, non me ne accorgerò neppure, ma il mio involucro di carne sorriderà lo stesso.
Vi auguro che la fiamma di cui siamo portatori, bruci forte come le nostre vite.
Vi voglio bene.
A presto…
Andrea Broggi, se non si fosse capito, sano di mente e di corpo.
Nessun commento:
Posta un commento
Commentate, ché solo nello scambio c'è ricchezza per entrambi.