Autore: Hunter Stockton Thompson
Anno 1998
Edizione: I Tascabili Dalai Editore
Pagine: 275
"... Come quasi tutti, ero un arrivista, un tarantolato, uno scontento cronico e spesso e volentieri un attaccabrighe idiota. Non ero abbastanza pigro per stare a riflettere, ma credo che in qualche modo il mio istinto avesse ragione.
A volte condividevo il loro ottimismo, che alcuni di noi avrebbero fatto carriera, che in fondo avessimo imboccato la retta via e che i migliori sarebbero certamente arrivati in cima.
Allo stesso tempo, provavo l'oscuro presentimento che la vita che facevamo fosse una causa persa, che non facessimo altro che recitare, prendendoci per il culo a vicenda in un'odissea senza senso. Era la tensione tra questi due poli - un idealismo inquieto da un lato e l'incombere di un destino tragico dall'altro - che mi dava la carica."
Penso che il reale merito dei classici sia quello di essere sempre attuali, di riuscire ad arrivare in qualunque momento storico con la medesima intenzione. Difatti è poi l'intensità a essere invece soggettiva, soggettivissima, per gli amanti dei superlativi. Trovarmi a parlare di Thompson mi emoziona un po', come emozionerebbe a parlare del proprio padre, una persona che si è sempre considerata orfana ed ha invece in età più matura scoperto di potersi dare un cognome non inventato da un istituto, e, insieme, mi lascia intento a pensare a quanti intermezzi - leggasi quanti bicchieri - possano servirmi a intrattenervi mentre vi costringo come in una spirale a convergere nel centro.
Cronache del Rum, è zuccherino e diabolicamente, coercitivamente, tremendo nei postumi, come l'alcolico invitante e poliedrico che troneggia nel titolo, infatti, son certo che se si fosse chiamato "Cronache della Vodka", non sarebbe cambiata solo l'ambientazione geografica, PortoRico.
MA, e il maiuscolo è necessario, c'è scritto dal RUM e quindi sotto col sole, le camicie smanicate a fiori, le palme, il mare, le donne in bikini e le musiche di intrattenimento alla Dexter, con le percussioni che ti fanno sudare solo a pensare al movimento di mani del musicista, mentre alla gola t'acchiappa un'arsura che nemmeno quando ti svegli dopo una notte di sonno passata a bocca aperta.
L'esperienza da cui nasce questa sorta di diario romanzato è quella che Thompson nella seconda metà degli anni Cinquanta matura durante il suo lavoro di freelance per il Daily News di Portorico, godendo di quella terra mentre senza soluzioni di continuità, l'acqua, la birra e, soprattutto, il rum, facevano da intermezzo tra una sbornia e un'altra. Lo stile, come sempre nitido e seducente assomiglia e fa pensare al fumoso coccodrillo disneyano che si pappa i pescetti (intendo a 0.59):
Buona lettura!
Nessun commento:
Posta un commento
Commentate, ché solo nello scambio c'è ricchezza per entrambi.