Autore: Jack London
Anno 2009
Edizione: Gli Adelphi
Pagine: 94
State avvicinandovi a leggere un libro che segue (meglio sarebbe dire, che si colloca tra i fondatori) il filone post apocalittico, genere che usualmente lascia un pò di fiele da ingurgitare.
Il titolo, La peste scarlatta, mi ricorda uno straordinario racconto di Edgar Allan Poe "La maschera della morte rossa", ma penso che sia una commistione tra il leitmotiv dello scritto Londoniano e il titolo dello stesso, a richiamare alla mente Poe.
Tra l'altro, pensandoci, visto il formato dei caratteri di stampa usati e la brevità che lo contraddistingue, sarebbe meglio definire questo un racconto, piuttosto che un romanzo. Un racconto dal punto di vista stilistico scorrevole, pur nella sua terribile visione.
Einstein disse: "Non so come sarà combattuta la terza guerra mondiale, ma la quarta lo sarà con pietre e bastoni". Ed è così che London immagina (ma presumo qualche anno prima dell'aforisma del genio del novecento) l'ecosistema in cui si muovono i personaggi del libro, ecosistema che non a causa di una guerra, ma di un'inarrestabile pandemia, è stato drasticamente ridotto nel numero degli esseri umani retrocendendo culturalmente ad una sorta di società simil-tribale.
Ciò che mi ha particolarmente colpito è anche qui, come in "Cecità" di Saramago, la scelta fatta dall'autore. Questi, infatti, con la scomparsa di un controllo statale e per contro con l'aumento della libertà individuale, lascia che le peggiori pulsioni dell'animo umano, prendano forme concrete, anche in persone tutt'altro che criminose nel quotidiano civile.
Viene, così, retrocessa una "giustizia economica", in cui è il più ricco ad avere più potere, ad una giustizia del più forte, del più prepotente; la prima, simbolo, nel libro, della società preapocalittica (riconducibile alla nostra contemporanea), la seconda, simbolo di una qualunque società primitiva.
Naturalmente è un racconto scritto, ma è, nel suo significato, il canto di un aedo, una fiaba della buonanotte per persone coscienziose, un tentativo opposto dalla tradizione orale alla scomparsa di una memoria collettiva (incarnato dal protagonista del libro, il nonno, che all'inizio sembra quasi nemmeno ricordarsi il suo nome, ma alla fine lo enuncia per esteso, professor James Howard Smith).
Ora, questa tradizione orale, proprio perché appartenente ad un passato degradato dal punto di vista morale, pur nel suo insegnamento, pur nella sua encomiabile funzione, semina uno sperma (nel senso greco del termine di "seme del grano") malato, che ogni lettore particolarmente idealista, realista, scrupoloso, si augurerebbe di non veder nuovamente germogliare.
Anche se la storia suggerisce che si tratta di una speranza vana...
Buona lettura.
Il titolo, La peste scarlatta, mi ricorda uno straordinario racconto di Edgar Allan Poe "La maschera della morte rossa", ma penso che sia una commistione tra il leitmotiv dello scritto Londoniano e il titolo dello stesso, a richiamare alla mente Poe.
Tra l'altro, pensandoci, visto il formato dei caratteri di stampa usati e la brevità che lo contraddistingue, sarebbe meglio definire questo un racconto, piuttosto che un romanzo. Un racconto dal punto di vista stilistico scorrevole, pur nella sua terribile visione.
Einstein disse: "Non so come sarà combattuta la terza guerra mondiale, ma la quarta lo sarà con pietre e bastoni". Ed è così che London immagina (ma presumo qualche anno prima dell'aforisma del genio del novecento) l'ecosistema in cui si muovono i personaggi del libro, ecosistema che non a causa di una guerra, ma di un'inarrestabile pandemia, è stato drasticamente ridotto nel numero degli esseri umani retrocendendo culturalmente ad una sorta di società simil-tribale.
Ciò che mi ha particolarmente colpito è anche qui, come in "Cecità" di Saramago, la scelta fatta dall'autore. Questi, infatti, con la scomparsa di un controllo statale e per contro con l'aumento della libertà individuale, lascia che le peggiori pulsioni dell'animo umano, prendano forme concrete, anche in persone tutt'altro che criminose nel quotidiano civile.
Viene, così, retrocessa una "giustizia economica", in cui è il più ricco ad avere più potere, ad una giustizia del più forte, del più prepotente; la prima, simbolo, nel libro, della società preapocalittica (riconducibile alla nostra contemporanea), la seconda, simbolo di una qualunque società primitiva.
Naturalmente è un racconto scritto, ma è, nel suo significato, il canto di un aedo, una fiaba della buonanotte per persone coscienziose, un tentativo opposto dalla tradizione orale alla scomparsa di una memoria collettiva (incarnato dal protagonista del libro, il nonno, che all'inizio sembra quasi nemmeno ricordarsi il suo nome, ma alla fine lo enuncia per esteso, professor James Howard Smith).
Ora, questa tradizione orale, proprio perché appartenente ad un passato degradato dal punto di vista morale, pur nel suo insegnamento, pur nella sua encomiabile funzione, semina uno sperma (nel senso greco del termine di "seme del grano") malato, che ogni lettore particolarmente idealista, realista, scrupoloso, si augurerebbe di non veder nuovamente germogliare.
Anche se la storia suggerisce che si tratta di una speranza vana...
Buona lettura.
Nessun commento:
Posta un commento
Commentate, ché solo nello scambio c'è ricchezza per entrambi.