Autore: Massimo Bocchiola, Marco Sartori
Anno 2008
Edizione: Le Scie Mondadori
Pagine: 278
"Cicileu"
Annibale Barca ai consoli
Annibale Barca ai consoli
Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone
"Gli dei evidentemente non hanno concesso alla stessa persona tutte le doti: tu sai vincere, Annibale, ma non sai approfittare della vittoria"
Maarbale - luogotenente di cavalleria - ad Annibale Barca
Maarbale - luogotenente di cavalleria - ad Annibale Barca
dopo la Battaglia di Canne
Il libro si presenta per Mondadori e questo, son certo, ai più schizzinosi di voi farà storcere il naso, perché se si parla di umanistica seria non è al marchio di punta della Casa milanese che la si associa. Ma, attenzione(!) con il mare e l’estate e il caldo (l’ho già detto il mare, vero?) si fa presto a prendere un granchio, o mischiare “scuercl’ cu fav’” come si direbbe dalle mie parti.
Come perché, ragazzi qui si parla di Canne!
La località pugliese intendo, quella che ha dato i natali a uno dei momenti più tragici (e anche maestosi) della storia di Roma e ne ha fatto le fortune di uno dei più grandi generali che la storia occidentale abbia partorito (o visto il suo essere fenicio forse non dovrei dire strettamente occidentale…) ed il modo di affrontare l’argomento da parte dei due scrittori è decisamente piacevole, accattivante e puntuale.
La Battaglia del 216 a.C., la prima in cui si confrontano vis à vis Publio Cornelio Scipione (il futuro Africano) e Annibale Barca, senza che però il cartaginese ne sia informato, è d’altro canto solo un presupposto per parlare di guerra, di psicologia della guerra e di un giorno d’armi qualsiasi del mondo antico. E diventa anche il presupposto per poter parlare della realizzazione dell’impareggiabile impresa di forze inferiori numericamente che annientano con l’accerchiamento totale l’esercito nemico.
La raffigurazione cha a quattro mani riescono a realizzare è talmente vivida da terrificare, e come spesso accade proprio per questo attrarre ancor di più l’attenzione del lettore conducendolo letteralmente su quella piana pugliese, oscillando tra la tenda di Annibale e quella dei due consoli (l'impulsivo Terenzio Varrone e lo sfortunato Lucio Emilio Paolo).
La Battaglia del 216 a.C., la prima in cui si confrontano vis à vis Publio Cornelio Scipione (il futuro Africano) e Annibale Barca, senza che però il cartaginese ne sia informato, è d’altro canto solo un presupposto per parlare di guerra, di psicologia della guerra e di un giorno d’armi qualsiasi del mondo antico. E diventa anche il presupposto per poter parlare della realizzazione dell’impareggiabile impresa di forze inferiori numericamente che annientano con l’accerchiamento totale l’esercito nemico.
La raffigurazione cha a quattro mani riescono a realizzare è talmente vivida da terrificare, e come spesso accade proprio per questo attrarre ancor di più l’attenzione del lettore conducendolo letteralmente su quella piana pugliese, oscillando tra la tenda di Annibale e quella dei due consoli (l'impulsivo Terenzio Varrone e lo sfortunato Lucio Emilio Paolo).
Il ritratto di un giorno agosto, che è insieme un’orazione funebre e un Gloria in excelsis deo.
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