Forse non essenzialmente io, ma io

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Nato a Taranto il 6 maggio nel segno del Toro. Il Giallo del collettivo Shingo Tamai, cialtrone poliedrico, dilettante eclettico, onnivoro relazionale, sempre in cerca di piaceri, di vezzi, di spunti e di guerre perse in partenza. L'idea di comparire in questi termini sulla rete è nata da un brainstorming con un amico, Leonardo Chiantini, qualunque fortuna possa avere il suo primo "quaderno di appunti" virtuale, è a lui che vanno i suoi ringraziamenti.
Benvenuti e buona lettura.
Ps. Aggiungetemi su Facebook e, con lo pseudonimo andrelebrogge, su Twitter

lunedì 14 giugno 2010

Philip Kindred Dick - Follia per sette clan

Titolo originale: The clans of Alphane moon
Autore: Philip Kindred Dick
Anno 1963
Edizione: Fanucci editore
Pagine: 234

"Follia per sette Clan". Quando mi trovai per la prima volta questo libro tra le mani, il pensiero di leggere una storia popolata da malati di mente, mi colpì con così tanta vivacità da promettere, principalmente a me stesso, che prima o poi l'avrei comprato.

Il romanzo si divide inizialmente in due parti sovrapposte, che finiscono per congiungersi totalmente: la prima parte si focalizza sulla Terra, dove il protagonista Chuck, impiegato presso un'agenzia governativa, vive una relazione ormai in disfacimento con sua moglie; la seconda s'incentra, invece, sul pianeta Alpha III L2, un tempo colonia terrestre ove venivano ricoverati affetti da patologie psichiche, i quali, in seguito all'abbandono terrestre, hanno creato sette clan, uno per ogni disturbo, instaurando un consiglio dei capi clan con il compito di dirimere tutte le questioni del pianeta.

L'intreccio è decisamente spassoso, soprassedendo naturalmente la misoginia, spesso presente negli scritti di Dick, (ad esempio qui).

La riflessione che ha prodotto la lettura è decisamente in tema, benché non espressa completamente all'interno della sua struttura.
Diverso. Nella simbologia matematica viene rappresentato con un uguale sbarrato, quindi leggendo semplicemente, il simbolo significa non uguale.
Direi che si tratta di un pensiero banale, vero?
Ed allora in tutta la mia banalità, mi domando: se dato per assioma, che diverso, cioè non uguale non ha connotazioni spregiative, almeno non nella sua prima dicitura, come mai tutti i diversi da noi, quali che siano i diversi e quali che siamo noi, sono sempre guardati con sospetto, con intolleranza, con paura?
Accettare è un verbo della prima coniugazione, la prima che viene insegnata e presumibilmente imparata nelle scuole, ma coniugare e comprendere non fanno neanche rima, figurarsi se possono essere sinonimi.

Buona, estasiante, lettura.

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