Titolo originale: Ansichen eins Clowns
Autore: Heinrich Boll
Anno 1965
Edizione: Oscar Mondadori classici moderni
Pagine: 253
Ho trovato delizioso questo libro, non solo per il suo modo di essere scritto, assolutamente scorrevole e originale, ma anche, anzi soprattutto, per il suo acuto utilizzo dell'ironia. Fatto questo preambolo su cui ritornerò, mi soffermo brevemente sull'ambientazione e la trama, le quali, evidentemente, sono le dirette genitrici delle riflessioni maturate.
Boll, ambienta questo romanzo nel periodo della ricostruzione industriale tedesca, successivo al secondo conflitto mondiale. Lo fa dando voce ad un clown, disperato per la perdita dell'amore della donna che ama, che, nella sua caduta in disgrazia, dipinge attraverso i suoi monologhi e con efficace comicità, tutta la società dei suoi tragici anni.
Ed è questa l'ironia di cui parlavo all'inizio.
Quel tipo di ironia, che diventa come un coltello saldamente piantato nella morale cattolica ed occidentale insieme, così ipocritamente perbenista e falsamente sociale, anzi troppo spesso, solo apparentemente sociale.
Un coltello piantato in quella ferita, credo mai chiusa, della colpevolezza tedesca nella "questione ebraica".
Un coltello inoffensivo come le "opinioni di un clown", ma non per questo meno significativo.
Un'ultima passata di biacca, et voilà, la maschera è pronta. Una perfetta riconoscibile maschera, per mimetizzarsi tra la gente, i dilettanti che vivono tutti i giorni della loro vita mascherati.
Buona lettura.
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