Il compito della storia è duplice: da un lato è mostrarsi impietosa di fronte ai fatti, granitica fino a prova contraria; dall’altro è didascalico, nella speranza implicita che ci sia qualcuno dotato di sufficiente attenzione da leggerne il monito e apprenderlo.
E questo disco, dalla lettura d’insieme costruita sul suo titolo, - Durante un assedio – che è come una matrioska che ha nel secondo involucro i titoli delle sue otto tracce e poi i versi delle tracce stesse, incarna esattamente il monito e la didascalicità della storia che racconta, delle storie da cui prende spunto.
Tutto ha inizio con la strumentale Numantia, che con una ripetitiva isteria ritmica dà il benvenuto alle otto storie di queste otto città assediate, difese a oltranza, eroicamente. Otto tragedie in cui esseri umani, portati oltre il punto di rottura dalla brutalità della guerra, decidono di togliersi la vita piuttosto che cadere in mano al nemico, tutto questo mentre le parole diventano sempre più ansiose dell’estremo gesto in un crescendo quasi ossessivo, tutto questo mentre il post punk e una piacevolissima elettricità wave ora più dissonante – Demmin; Badung – ora più adagiata e meno incalzante – Pilenai; Waco – diventano i padroni armonici di questa bellezza nera.
Ed è qui che il disco risponde a quella duplicità iniziale, perché la storia, quella di queste città, è solo un pretesto per raccontare otto relazioni trascinate fino al punto di rottura, fino all’ultimo consumo fisico come risposta al logorio emotivo, o anche otto episodi della stessa relazione.
A Zalongo, che dà il titolo all’ultima traccia dell’album, sulle montagne d’Epiro un manipolo di donne circondate dall’esercito turco, per non farsi catturare gettarono giù dalla montagna i loro figli e volteggiando e cantando, a turno, commisero suicidio lanciandosi a loro volta nel vuoto.
Tutto ha inizio con la strumentale Numantia, che con una ripetitiva isteria ritmica dà il benvenuto alle otto storie di queste otto città assediate, difese a oltranza, eroicamente. Otto tragedie in cui esseri umani, portati oltre il punto di rottura dalla brutalità della guerra, decidono di togliersi la vita piuttosto che cadere in mano al nemico, tutto questo mentre le parole diventano sempre più ansiose dell’estremo gesto in un crescendo quasi ossessivo, tutto questo mentre il post punk e una piacevolissima elettricità wave ora più dissonante – Demmin; Badung – ora più adagiata e meno incalzante – Pilenai; Waco – diventano i padroni armonici di questa bellezza nera.
Ed è qui che il disco risponde a quella duplicità iniziale, perché la storia, quella di queste città, è solo un pretesto per raccontare otto relazioni trascinate fino al punto di rottura, fino all’ultimo consumo fisico come risposta al logorio emotivo, o anche otto episodi della stessa relazione.
A Zalongo, che dà il titolo all’ultima traccia dell’album, sulle montagne d’Epiro un manipolo di donne circondate dall’esercito turco, per non farsi catturare gettarono giù dalla montagna i loro figli e volteggiando e cantando, a turno, commisero suicidio lanciandosi a loro volta nel vuoto.
È così che lascia la storia, congelati, e questo disco, in questo gelo da cui nasce è perfetto, bellissimo, compiutamente magnifico.
Buon ascolto.
Buon ascolto.
Ps. Ringrazio Valentina e Soundmagazine per l'opportunità.
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